Quando incontriamo una persona per la prima volta ad una bella festa, vestita in maniera elegante e predisposta ad una conversazione gentile dal linguaggio forbito come prima risposta abbiamo la percezione di trovarci di fronte a qualcuno che ricopre un ruolo degno della nostra attenzione e cerchiamo di sfoderare la nostra migliore proprietà di linguaggio per sentirci all’altezza. Se abbiamo avuto una brutta giornata e siamo nervosi sarà nostra premura mantenere la conversazione rilassata per evitare che l’interlocutore possa farsi un’idea di noi che non vogliamo far passare. Il pomeriggio prima della festa probabilmente abbiamo incontrato il nostro vicino di casa e siamo stati sfuggenti e scortesi perché sappiamo che lui è un tipo molto scontroso e non abbiamo nessun interesse a costruire con lui lo stesso dialogo.
Il dizionario Treccani definisce il pregiudizio come “Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore” possono assumere un grande significato sociale) mentre nella sociolinguistica, la scienza che studia i fenomeni linguistici in relazione alle diverse situazioni sociali, il termine spiega che l’uso di una certa variante linguistica o di una certa varietà di lingua ci consente di esprimere una valutazione su altri aspetti della personalità dell’individuo con cui stiamo dialogando (1).
Tornerei alla festa dove il valore che noi diamo al nostro interlocutore cambia il modo in cui cerchiamo di essere a nostra volta giudicati da lui, in maniera inconsapevole analizzando ciò che accade il pregiudizio che nel nostro senso comune di valutazione usiamo con le persone che incontriamo influenza il nostro comportamento proprio perché sappiamo che il nostro senso comune è condiviso dalla maggioranza degli appartenenti alla nostra cultura.
Il pregiudizio è quel campanello d’allarme che accendiamo ogni volta che ci relazioniamo con qualcuno per poter prevedere le sue reazioni e influenzare il prematuro giudizio che si farà di noi.
Sono stati condotti molti esperimenti sociali correlati da video disponibili in rete volti a dimostrare come cambiano le reazioni nello stesso contesto in base all’immagine che riflette la rilevanza sociale di chi ci si trova di fronte.
Il pregiudizio viene talvolta tramandato di generazione in generazione, insegnando a prestare attenzione a connotati distintivi che consideriamo pericolosi perché collegati all’immagine creata di elementi collegati a determinati aspetti.
Mary Quant (1930-) negli anni sessanta veste le donne nella sua boutique di Liverpool e disegna la minigonna proprio perché ascolta il loro desiderio di gonne sempre più corte. Quel capo d’abbigliamento ha fatto la storia ed è nel nostro costume da molto tempo, ma il pregiudizio iniziale poi ha cambiato un’epoca. Quel pregiudizio tendiamo a ripeterlo quando abbiniamo un’immagine ad una determinata personalità, quando guardiamo per la prima volta degli abiti considerati maschili indossati da una donna ad un festival musicale e vi prestiamo più attenzione di quella che riserviamo alle sue doti canore.
Dal trucco pesante di Geme Simmons (1949-) alla pancia scoperta con piercing all’ombelico di Britney Spears (1981-) negli anni 90, il costume e il senso comune sono profondamente cambiati, così come cambierà in questa epoca il pregiudizio sessuale superando le etichette e concentrandosi sulle potenzialità delle persone oltre l’immagine che siamo abituati a vedere.
(1) D’agostino M., Sociolinguistica dell’Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2007
Marina Ciferni (Link)