Ci hanno raccontato dell’efficienza dei trasporti inglesi, ma ricordo che nel mio ultimo soggiorno a Londra ho aspettato un’ora il treno in ritardo per rientrare in aeroporto rischiando di perdere il volo.
Gli inglesi dal canto loro immaginano che tutti gli italiani siano ottimi cuochi, si aspettano da noi spaghetti e pizza degni di un reality culinario, sicuramente non mi hanno mai vista ai fornelli.
Lo stereotipo è un’opinione su un gruppo sociale che non tiene conto dei singoli, una generalizzazione che banalizza i contenuti individuali.
Dall’etimologia del termine si evince che si riferisce ad una riproduzione in serie e così risulta facile capire che non dovrebbe essere associato alle persone, dove di seriale c’è ben poco.
Il concetto di stereotipo, ha la sua culla nella psicologia sociale, sebbene il primo a utilizzare questo termine sia stato Lippmann, un giornalista, sostenendo che “le persone che appartengono a uno stesso gruppo, in seguito alle relative preconcezioni, vengono percepite indistinguibili tra loro, così come risultano indistinguibili le copie di un giornale che provengono dallo stesso stampo tipografico” (1).
Giornalisti e giornali che talvolta contribuiscono a fomentare gli stereotipi, come nel caso di quelli di genere e siamo costretti a leggere titoli che tendono prima a categorizzare il gruppo di appartenenza di un individuo (articolo – permalink).
Che sia esso di genere o relativo ad altre categorie sociali, banalizzando come sono gli stereotipi stessi potrebbero fare, sono la somma dei luoghi comuni su determinati gruppi.
Secondo le credenze le donne sono meno brave alla guida degli uomini, sono meno inclini alle discipline scientifiche e sicuramente il loro hobby preferito è lo shopping.
Convinzione comune è immaginare che i gay debbano avere componenti riconosciute nell’universo femminile e le lesbiche tratti distintivi tipici della mascolinità perché gli stereotipi vanno a definire un gruppo come un contenitore di persone senza valutare il rapporto con i singoli. Tendono ad allontanare la conoscenza o il rapporto con i componenti di tale gruppo perché già convinti che quel gruppo non possa avere contenuti differenti dall’etichetta negativa che ha acquisito.
Continuare ad incasellare le persone in gruppi con annessi modelli comportamentali immaginari ci priverà dall’emozione di entrare in contatto con realtà umane che non conosciamo e non avremo modo di conoscere finché non avremo il coraggio di superare il recinto di pregiudizi che è stato costruito intorno alle persone.
(1) Public Opinion,Lippmann W., (1922)
Marina Ciferni (Link)